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VCO- 25-02-2024-- È diventata un caso nazionale la “Messa del lupo”, celebrata il 14 febbraio nella ricorrenza di San Valentino martire a Forno in Valle Strona, nel corso della quale il parroco don Gaudenzio Martini esponendo la reliquia del Santo ha invocato la protezione divina su greggi ed armenti dagli attacchi del lupo, che è tornato a ripopolare pure le montagne di questo territorio, benedicendo altresì i campanacci che gli alpigiani mettono solitamente al collo degli animali a rischio di essere aggrediti e uccisi dal predatore.

Un rito, quello della “Messa del lupo”, che non scaturisce dall’attuale emergenza più volte denunciata dagli allevatori, alcuni dei quali presenti a Forno alla funzione e neppure alla creatività del Parroco, ma che risale nientemeno al 1762 e divenuto dopo duecentosessantadue anni addirittura un reato, almeno secondo quanto denunciato dall’Associazione italiana difesa animali e ambiente attiva nel milanese, che imputa al sacerdote celebrante l’istigazione all’uccisione di animali selvatici e maltrattamento di animali.

Sicuramente si tratta di una questione che interessa i cattolici credenti e praticanti e che può legittimamente lasciare indifferenti coloro che a vario titolo non frequentano chiese e luoghi di culto, ma guardando alle origini di questo rituale secolare, ripetuto anche in periodi in cui i lupi erano scomparsi, risulta invece che lo spirito della cerimonia sia sempre stato diverso da quanto ipotizzato nella denuncia e nella segnalazione al Vescovo che, almeno nell’immediato, non si è pronunciato sulla questione.

Occorre andare indietro nel tempo, alla seconda metà del XVIII secolo quando in Valstrona e pure nelle vallate circostanti i lupi erano divenuti, un po’ come oggi, una presenza diffusa e con l’esponenziale incremento del loro numero aumentarono le predazioni di capre e pecore, mentre non era infrequente assistere a incursioni di branchi addirittura nei centri abitati, generando grossi danni economici e diffusa paura nelle piccole comunità di montagna.

Ad un secolo da quegli eventi veniva pubblicato “Memorie della Valle Strona” del sacerdote don Felice Piana, il quale in gioventù aveva avuto modo di sentire ancora da qualche diretto testimone di quando “il lupo … tante volte menò strage nelle pecore e nelle capre”, tanto che il feudatario conte Federico Borromeo autorizzò gli uomini di Forno ad armarsi per dare la caccia al predatore.

Ma la convinzione che l’uso delle armi potesse nel 1762 risolvere il problema non doveva essere molta in quel di Forno, perché invece come racconta quasi due secoli dopo nel suo “La Valstrona e Luzzogno” Celso De Giuli, “In quello stesso anno tutte le frazioni della Comunità decisero per allontanare i lupi di far celebrare una Messa annuale, detta la ‘Messa del lupo’ che ancora ora si celebra, come conferma Mons. Giulio Zolla, parroco di Forno, il quale scrive anzi che ogni frazione era obbligata a far celebrare una Messa, dando così origine alle ‘Messe del lupo’ …”.

Paradossalmente la “Messa del lupo”, oggi da qualcuno individuata come momento di potenziale istigazione all’uccisione di animali selvatici e maltrattamento di animali, è invece nata proprio in alternativa all’uso di schioppi ed archibugi in tempi di grande pericolo per uomini e greggi, segno di una certa sfiducia nel ricorso alle armi come strumento risolutivo di un problema e preferendo invece appellarsi alla Divinità, direttamente o per il tramite di un Santo.

Un Santo o anche due, visto che don Martini durante la funzione ha esposto non solo la statua e la reliquia di San Valentino, ma anche una immagine raffigurante San Francesco ed il lupo di Gubbio.

 

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