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negri gozzano spettacolo

GOZZANO – 28-11-2023 -- Floriano Negri, artista e attore molto noto in tutto il Piemonte, ha presentato sabato sera nel salone della Somsi di Gozzano in prima mondiale assoluta il suo monologo “È Acqua ovvero il figlio della lavatrice”, scritto da Davide Vanotti, con regia di Alessandro Ferrara, allestimenti di Laura Zaninetti e luci di Maurizio D’Alcantara. Una pièce utile a “dar voce ai pensieri, non alle informazioni” come ha tenuto a sottolineare lo stesso regista appena terminato lo spettacolo.

Dopo un inizio piuttosto forte, quasi choccante, con Negri che esce, partorito, quasi nudo, da una lavatrice e balbetta le sue prime parole su quanto sia orribile il mondo. Eccolo più grandicello raccontare alla mamma, una gita alla centrale elettrica sul Toce, in cui il suo occhio di bambino ha palpitato più per una famiglia di stambecchi che brucava l’erba invernale rimasta sotto la neve che cadeva dal cielo, che per le meraviglie della centrale illustrate da un ingegnere.

Il secondo quadro è il più “informativo” dell’opera, per restare dentro le parole del regista Ferrara, e racconta la nascita del Crodino vestendo i panni di uno dei suoi creatori, il cuneese Maurizio Gozzelino. E lo fa tra l’ammirato per l’ingegno umano e lo spirito imprenditoriale di Piero Ginocchi, proprietario della Società Anonima Terme di Crodo, che ha saputo e voluto creare un prodotto venduto ancor oggi in tutto il mondo in una valle sperduta, e l’angoscia per il prezzo da pagare: capannoni dove c’erano pascoli, inquinamento, caos…

Nella terza scena Floriano Negri si trasforma in una sorta di albero di Natale umano, coperto di mille lucine. È la società dei consumi, l’uomo ha imparato a prendere ciò che non gli serve, spiega in scena.

Il quarto e ultimo quadro è post-atomico e visionario. Un Negri-mondina, salita in treno nel Mantovano presumibilmente tra gli anni Cinquanta e Sessanta, scende nel Novarese solo molti decenni dopo, in un futuro distopico, come si usa dire adesso, non ancora arrivato nella realtà ma forse dietro l’angolo. Ha viaggiato non solo nello spazio ma anche nel tempo e, al posto dei campi da mondare e del riso, trova rifiuti, capannoni e lampioni con, sullo sfondo, il fungo dell’esplosione nucleare. La spaesata mondina vorrebbe tornarsene a casa ma non ha denaro per il biglietto e decide così di restare. Indossa calze di nylon e delle scarpe col tacco abbandonate da chissà quale signora dopo il grande botto atomico, si accorcia le gonne e si siede in attesa che passi qualcuno. Le citazioni sono molte, dall’Aspettando Godot di Beckett, all’arte italiana di arrangiarsi sempre. Cala il sipario insieme a un senso di inquietudine che pervade tutti i presenti in sala.

Uno spettacolo “forte”, un paio di spettatori hanno lasciato la sala prima della conclusione, adatto forse in modo maggiore a platee preparate e appassionate di teatro che a quelle più generaliste che si possono trovare in un paese di provincia, in cui è probabilmente minore la propensione ad ascoltare “la voce dei pensieri” . (FAB)

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